La storia dei ciechi e degli ipovedenti in Italia attraversa duemila anni: dall’antica Roma al mondo digitale di oggi. Nel corso dei secoli, le persone con disabilità visiva sono passate dall’essere mendicanti ai margini della società a cittadini con pieni diritti, istruzione e opportunità lavorative. Uso il mio screen reader per scrivere questo articolo e mi fermo a riflettere. I diritti e le tecnologie che oggi consideriamo parte della vita quotidiana sono il frutto di secoli di cambiamenti sociali e innovazione. La tecnologia che mi permette di scrivere, comunicare e lavorare in autonomia rappresenta l’eredità di chi ci ha preceduto. La realtà era ben diversa prima dell’invenzione del sistema Braille nel 1829, prima degli screen reader, prima dei percorsi tattili nelle città, prima delle leggi che tutelano i nostri diritti. Mi sono chiesto come vivessero le persone con disabilità visiva in quei tempi lontani, quando un semplice bastone rappresentava l’unico ausilio disponibile e la cecità veniva vista come una maledizione divina. Racconterò di un passato in cui i ciechi vivevano come mendicanti, ai margini della società, esclusi dall’istruzione e dalla realizzazione personale. Un periodo nel quale la cecità portava ad un destino di isolamento. Il nostro passato racconta di persone che hanno lottato per il riconoscimento della propria dignità. Racconta di pionieri come Aurelio Nicolodi, che hanno aperto nuove strade. Narra la trasformazione da oggetto di pietà a cittadini con pieni diritti. Le tecnologie assistive, i diritti acquisiti, gli spazi accessibili nelle nostre città racchiudono storie veramente importanti da ricordare. Memorie che ci ricordano il valore di ciò che abbiamo oggi. Dedico questo articolo a chi ha reso possibile tutto questo e a chi prosegue il cammino verso una società sempre più inclusiva. La storia della disabilità visiva in Italia continua a evolversi, con noi come protagonisti del presente.
Antichità e Medioevo
Nell’antichità classica italica, i ciechi vivevano senza cure o assistenza organizzata. La vista era il senso predominante, quindi la cecità si considerava una sventura tra le più gravi. La persona priva della vista dipendeva dalla famiglia o mendicava per sopravvivere. Gli strumenti di supporto si limitavano a un bastone per orientarsi e, a volte, un animale o un servo come guida. Un’immagine del primo secolo d.C., rinvenuta a Ercolano, raffigura un mendicante cieco con bastone e un piccolo cane. La scena suggerisce l’uso dei cani per aiutare i non vedenti nel cammino fin dall’antichità. Un esempio illustre dell’epoca romana è Appio Claudio Cieco (IV-III sec. a.C.), politico e censore romano, noto per aver fatto costruire la Via Appia e il primo acquedotto di Roma. La perdita della vista in tarda età non gli impedì di partecipare alla vita pubblica, con il suo celebre discorso contro Pirro nel 280 a.C. Ma casi come il suo erano eccezioni: nella società italica antica mancavano istituzioni dedicate ai ciechi e la loro condizione era spesso misera.
Durante il Medioevo, la vita dei non vedenti restava difficile e marginale. La società medievale interpretava la disabilità in chiave teologica: una persona cieca poteva essere vista come oggetto di pietà cristiana o, al contrario, la sua cecità poteva essere ritenuta una punizione divina per colpe personali o familiari. Si credeva che il cieco nato scontasse peccati dei genitori, una superstizione alimentata dalla scarsa conoscenza medica. I pregiudizi portavano all’emarginazione e alla derisione dei ciechi nati, ritenuti incapaci di qualsiasi lavoro utile. Molti di loro diventavano pauperes, i poveri mendicanti che chiedevano l’elemosina davanti alle chiese. Nel Trecento si diffuse il fenomeno dei falsi invalidi: persone che si fingevano cieche per impietosire i fedeli. Questa pratica spinse alla redazione di manuali per smascherare gli impostori, con la descrizione di trucchi come bendaggi sporchi di rosso sugli occhi per simulare cecità. Questi inganni danneggiavano i veri ciechi, aumentando la diffidenza verso tutti i mendicanti disabili.
La carità cristiana offriva in alcuni casi un minimo sostegno. L’elemosina ai ciechi era incoraggiata come opera di misericordia, e alcuni ciechi venivano accolti in ambito religioso. A Padova nacque una confraternita dedicata ai non vedenti: la Fraglia di Santa Maria dei Ciechi, fondata nel 1377. I suoi statuti promuovevano la carità pubblica verso i ciechi membri. Gli affiliati consideravano il mendicare una professione “decorosa”, ricambiando i benefattori con preghiere. La Chiesa offriva ai non vedenti un ruolo socialmente accettato – quello di supplici devoti – in cambio di assistenza di base. In ambito monastico, alcuni ciechi si dedicavano alla vita contemplativa o a mansioni semplici. La figura di Lucia di Siracusa (283-304 d.C.) ha un’importanza direi centrale nella tradizione. Da buon siracusano, posso assicurarvi che l’elemento dell’accecamento durante il martirio è un’aggiunta medievale alla storia originale, senza fonti contemporanee a supporto. La sua venerazione come protettrice degli occhi e patrona dei ciechi si sviluppò nei secoli successivi. Dal tardo Medioevo si radicò la devozione popolare per Lucia taumaturga, celebrata il 13 dicembre con rituali e fiere in molte città italiane.
Gli strumenti disponibili nel Medioevo erano rudimentali. Il tradizionale bastone restava il compagno inseparabile di molti ciechi per orientarsi. I cani facevano da guida: un manoscritto del XIII secolo mostra un cieco povero guidato da un cane al guinzaglio, con abiti rattoppati simbolo della sua condizione marginale. L’istruzione formale dei ciechi era praticamente inesistente: l’educazione scolastica era preclusa, data l’incapacità di leggere i testi. Solo pochissimi individui, di solito appartenenti al clero o a ceti colti, riuscirono a emergere. Ad esempio, Francesco Landini, detto Francesco il Cieco, fiorentino nato intorno al 1325, perse la vista da bambino a causa del vaiolo. Diventò il più famoso compositore del Trecento italiano. Landini fu accolto e istruito in ambiente ecclesiastico; grazie al suo talento musicale padroneggiò molti strumenti e scrisse decine di brani profani che rappresentano il culmine dell’Ars Nova italiana. La sua vita dimostra che, se supportato, un cieco nel Medioevo poteva eccellere nelle arti. Per la maggior parte dei non vedenti in Italia medievale la quotidianità era fatta di emarginazione e sopravvivenza precaria: tollerati come oggetto di carità cristiana, talvolta venerati in ambito devozionale, ma esclusi dalla produttività economica e dalla vita pubblica.
Rinascimento e prima età moderna
Con il Rinascimento (XV-XVI secolo) e l’età moderna fino al Settecento, la condizione dei ciechi in Italia iniziò a cambiare. Gli antichi atteggiamenti di pietà e curiosità verso i non vedenti permanevano, ma l’Umanesimo e l’Illuminismo portarono attenzione verso le capacità delle persone prive della vista e ai metodi per istruirle. Il Rinascimento italiano mostrò interesse per casi di ciechi dotati in letteratura, arte o scienza, citati come esempi delle facoltà compensative dell’uomo.
Nel Cinquecento e Seicento emerge la figura di Giovanni Gonnelli, detto il Cieco da Gambassi. Lo scultore toscano nacque nel 1603 e si formò nelle botteghe fiorentine. Attorno al 1630 perse la vista durante l’assedio di Mantova. Dopo un periodo di inattività, riprese a modellare creta e realizzare ritratti in terracotta, sostituendo il tatto alla vista. Le sue abilità lo portarono a Roma e in altre corti. Il Cieco di Gambassi mostrò ai contemporanei che un artista poteva creare opere di qualità senza il dono della vista.
Nel Seicento e Settecento, con l’Illuminismo europeo, cresce l’interesse filosofico per la condizione dei non vedenti. In Italia, gli intellettuali si interrogano su come educare i ciechi e integrarli. L’abate Francesco Lana de Terzi, gesuita bresciano, nel 1670 pubblicò il Prodromo descrivendo un alfabeto tattile innovativo. Lana de Terzi comprese che i ciechi non avrebbero potuto leggere facilmente le normali lettere in rilievo e propose un codice tattile basato su segni lineari percepibili al tatto. Il sistema di Lana de Terzi non si diffuse all’epoca, ma resta un tentativo con approccio scientifico di affrontare il problema della lettura per non vedenti.
Nel Settecento, l’Illuminismo portò nuove idee. I ciechi venivano visti come soggetti educabili. Valentin Haüy fondò a Parigi nel 1784 la prima scuola al mondo per ragazzi ciechi. Haüy sviluppò un metodo di stampa in rilievo che permetteva ai suoi allievi di leggere toccando le lettere dell’alfabeto latino embossate su carta. Gli intellettuali e i governanti illuminati italiani guardarono a quel modello con interesse, in particolare dopo l’arrivo delle idee francesi negli stati italiani. Pietro Leopoldo di Toscana mostrò interesse per le iniziative educative rivolte ai disabili. Verso la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX, nei territori italiani maturò la volontà di dotarsi di istituzioni simili a quelle parigine, per sottrarre i non vedenti all’elemosina e renderli istruiti e produttivi. Proliferavano orfanotrofi, scuole per sordomuti (a Genova dal 1801) e, infine, scuole per ciechi. La svolta avvenne poco dopo l’epoca rivoluzionaria, con l’apertura dei primi istituti dedicati ai non vedenti sul suolo italiano nei primi decenni dell’Ottocento.
Età contemporanea (dal XIX secolo in poi)
L’Ottocento segnò per l’Italia l’avvio di istituzioni e programmi per i ciechi, inseriti nelle riforme liberali e nell’unificazione nazionale. Il primo istituto per ciechi in Italia nacque nel Regno di Napoli: nel 1818 venne fondato a Napoli l’Istituto dei Santi Giuseppe e Lucia, su iniziativa privata sostenuta dalle autorità borboniche. Altri stati pre-unitari seguirono l’esempio: nel 1838 aprì a Padova l’Istituto Configliachi, voluto dal conte Luigi Configliachi che destinò beni e risorse per istruire i ciechi poveri. Nel 1840 sorse l’Istituto dei Ciechi di Milano, sostenuto da filantropi lombardi. Il medico Michele Barozzi promosse l’ente fin dal 1836, e l’istituto divenne uno dei più importanti d’Italia per numero di alunni e qualità delle strutture.
A metà del XIX secolo, le maggiori città della penisola avevano propri istituti specializzati: dopo Napoli, Padova e Milano, aprirono istituti per ciechi a Genova (1843), Palermo (1842, Opera Pia dei Ciechi), Firenze (1850, poi Istituto “Vittorio Emanuele II”), Roma (1869, Istituto Sant’Alessio). Tali istituti, fondati come opere pie o patrocinati dalla nobiltà e dal clero locale, fornivano istruzione elementare, addestramento a un mestiere (come impagliatori di sedie, cestai, tessitori) e insegnamento della musica. A Milano l’istituto ospitava una scuola di musica e un’orchestra di allievi ciechi, tradizione proseguita fino al Novecento.
La rivoluzione arrivò con il sistema di scrittura Braille. Inventato in Francia da Louis Braille nel 1829, il codice di lettura tattile a punti si diffuse in Europa. In Italia, l’adozione del Braille incontrò resistenze da educatori vedenti legati ai metodi tradizionali, ma si affermò nella seconda metà dell’Ottocento. L’Istituto dei Ciechi di Milano fu tra i primi a introdurre il Braille nel paese. Prima di Braille, gli istituti usavano le lettere dell’alfabeto normale impresse in rilievo, secondo il metodo Haüy, o altri sistemi sperimentali. Il Braille, basato su combinazioni di sei punti in un piccolo rettangolo, permise ai ciechi di leggere con le dita in modo rapido e accurato. A fine Ottocento il Braille divenne lo standard in tutti gli istituti italiani. I ragazzi ciechi potevano accedere ai libri senza intermediazione di lettori vedenti, e scrivere mediante tavolette o dattilo-braille. I programmi per ciechi includevano elementi di geografia e geometria appresi con mappe a rilievo e figure tattili, e nozioni di scienze naturali tramite modelli plastici. I più dotati proseguivano gli studi e alcuni arrivarono all’università.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento, la comunità dei ciechi italiani si organizzò per far valere i propri diritti. Le prime iniziative presero forma di società di patronato per ciechi, promosse da benefattori. A Palermo sorse una società di patronato negli anni 1880, e altre apparvero in Lombardia e nel Lazio. Le società aiutavano i ciechi poveri fuori dagli istituti a trovare impieghi. Le tragedie belliche del primo Novecento rafforzarono l’associazionismo dei ciechi.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1915-18) l’Italia affrontò il fenomeno dei ciechi di guerra: centinaia di soldati sopravvissuti con la perdita della vista a causa di ferite o gas. Nel luglio 1915, a Firenze, l’ufficiale non vedente Aurelio Nicolodi (1894-1950) promosse il “Comitato fiorentino per l’assistenza ai ciechi di guerra”. Nicolodi, trentino arruolato nel Regio Esercito, aveva perso la vista in battaglia sul Carso nel 1915. Nel 1917 fondò a Firenze l’Associazione Nazionale dei Ciechi di Guerra, poi fusa con l’Associazione Mutilati. Per la prima volta i non vedenti (in tal caso ex militari) si organizzavano in prima persona per rivendicare assistenza e diritti, invece di dipendere dalla beneficenza.
Il 26 ottobre 1920, a Genova, Aurelio Nicolodi e un gruppo di altri ciechi fondarono l’Unione Italiana Ciechi (UIC). La nascita ufficiale dell’organismo nazionale per la tutela dei non vedenti italiani segnò una svolta storica. I fondatori, con il motto “tra ciechi per i ciechi”, sostenevano che la vera integrazione sociale sarebbe arrivata con l’impegno diretto dei ciechi nella difesa dei propri diritti, abbandonando la condizione di mendicanti. Nicolodi spingeva per la solidarietà tra tutti i ciechi e la socializzazione dei problemi legati alla cecità, per affrontarli collettivamente.
L’Unione Italiana Ciechi ottenne presto riconoscimento pubblico: nel 1923 fu eretta in Ente morale con Regio Decreto n.1789 del 29 luglio 1923. Lo Stato riconosceva la UIC come istituzione di pubblica utilità. La pressione dell’Unione e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi (creata nel 1921) portò a importanti provvedimenti. Due Regi Decreti del 30-31 dicembre 1923 sancirono l’istruzione obbligatoria dei ciechi in apposite scuole speciali. Nel 1925 fu istituita a Roma la Regia Scuola di Metodo per educatori dei ciechi, per formare insegnanti qualificati nella didattica speciale. L’istruzione dei ciechi da fatto caritativo diventava un obbligo legale e lo Stato iniziava ad assumersi l’onere di affiancare e coordinare le opere private.
Gli anni ’20 videro la creazione di servizi essenziali: dal 1924 fu attiva a Firenze la Stamperia Nazionale Braille, che nei primi sei anni stampò 300 opere in Braille (circa 50.000 volumi). La Stamperia pubblicava periodici dedicati ai ciechi. Creò Il Corriere dei Ciechi e la rivista per ragazzi Gennariello. Nel 1928, grazie a Nicolodi, nacque a Genova la Biblioteca Nazionale Braille “Regina Margherita”, che raccolse migliaia di volumi Braille manoscritti dalle biblioteche locali. A Firenze, nel 1928, aprì la Scuola Nazionale Cani-guida per Ciechi.
L’UIC crebbe in attività e influenza negli anni ’30. Nicolodi trasformò gli istituti tradizionali in luoghi di vera istruzione: spostò la competenza sugli istituti per ciechi dal Ministero dell’Interno al Ministero della Pubblica Istruzione. L’Unione creò nel 1934 l’Ente Nazionale del Lavoro per i Ciechi, con laboratori per attività produttive dei non vedenti adulti. I laboratori fornirono materiali all’Esercito durante la Seconda Guerra Mondiale. Nicolodi ottenne l’impiego di ciechi come aerofonisti nella difesa contraerea: ascoltavano e individuavano il rumore degli aerei nemici di notte.
Il 1940 vide una situazione migliorata: 30 istituti per ciechi in Italia, tra scuole elementari, professionali, convitti e case di lavoro. L’istruzione raggiungeva più ragazzi (da 814 alunni nel 1923 a 1400 nel 1930). Circolavano libri e periodici in Braille. Ma 350 bambini e 1500 adulti ciechi, specie nelle campagne, restavano senza educazione. Il regime fascista controllava l’Unione: nel 1937 impose un Commissario governativo, nel 1941 la inserì nell’ONMI con perdita di autonomia. Nel 1943, caduto Mussolini, Nicolodi affrontò false accuse di collaborazionismo. L’Unione superò la guerra, pronta all’Italia repubblicana.
La Repubblica Italiana (1946) portò ai ciechi e ipovedenti il riconoscimento dei diritti civili e pari opportunità. La Costituzione del 1948 stabilì all’art. 38 il diritto all’educazione e all’avviamento professionale. L’Unione Italiana Ciechi ricevette nel 1947 le funzioni di rappresentanza e tutela degli interessi dei ciechi d’Italia. L’associazione diventò l’interlocutore delle amministrazioni pubbliche. Nel 2007 l’UIC divenne UICI con l’inclusione degli ipovedenti.
L’integrazione scolastica nelle scuole comuni segnò una svolta: gli anni ’50-’60 misero in discussione la segregazione in istituti speciali. La Legge 517 del 1977 abolì le classi differenziali, aprì l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. L’Unione Ciechi fornì libri di testo in Braille, registrazioni, insegnanti di sostegno specializzati. Dalla fine del ‘900 i ragazzi non vedenti studiano nelle scuole pubbliche con sostegno, gli antichi istituti si sono trasformati in centri di risorse e convitti.
Le leggi sul lavoro crearono nuove opportunità. La Legge 682 del 1962 stabilì quote obbligatorie nelle aziende e negli enti pubblici. La Legge 113/1985 rese obbligatorio un centralinista non vedente per ogni centralino con almeno cinque linee. I ciechi trovarono impiego come centralinisti dopo corsi specifici. Il settore della massofisioterapia si aprì dagli anni ’50. La Legge 104 del 1991 rafforzò i diritti, promosse l’integrazione, eliminò barriere. Le norme riconoscono le categorie di disabilità visiva (ciechi assoluti, parziali, ipovedenti gravi) con provvidenze specifiche.
L’UICI creò servizi per la società moderna: consulenza tiflotecnica per ausili speciali, accompagnamento, centri di riabilitazione, corsi di mobilità col bastone bianco, biblioteche multimediali. Il Libro Parlato divenne essenziale: dal 1960 il Centro Nazionale produce audiolibri con lettori volontari, distribuiti gratis. L’era informatica portò screen reader e barre Braille elettroniche negli anni ’80. Le tecnologie resero autonomi i non vedenti nell’uso prima dei compiuter, di internet e ad oggi degli smartphone e delle tecnologie con intelligenza artificiale.
La presenza politica dei ciechi crebbe. Vanda Dignani Grimaldi entrò in Parlamento nel 1983, prima deputata non vedente. Vincenzo Zoccano diventò Sottosegretario di Stato nel 2018-2019. Zoccano evidenziò la necessità di non limitarsi ad abbattere le barriere fisiche ma anche e soprattutto i pregiudizi sociali. Eliminò il termine “invalido” dai testi di legge. I ciechi lavorano ora in ogni campo, dall’insegnamento alla tecnologia, dall’arte alla politica.
L’Italia adottò la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità nel 2009. La Legge Stanca garantisce l’accessibilità digitale pubblica. Le città hanno semafori sonori, mappe tattili. Dal 2013 esistono tessere elettorali in Braille e strumenti per il voto autonomo. La Giornata del Cieco e le mostre “Dialogo nel Buio” educano il pubblico. L’Unione conta 100 mila iscritti nelle sezioni provinciali.
Oggi vediamo i risultati di secoli di cambiamento. I ciechi e gli ipovedenti italiani contribuiscono alla società in ogni campo. L’obiettivo resta il medesimo e chiaro a tutti: una società dove la cecità sia una caratteristica della persona, non un limite o un’etichetta.
Fonti (Bibliografia e Sitografia)
- Enciclopedia Treccani (voce “CIECHI, educazione dei”)
- Enciclopedia Treccani (voce “CLAUDIO Cieco, Appio”)
- “Storia del concetto di disabilità: come un’epoca buia dia luce al buio dei giorni nostri” – Filosofia e Nuovi Sentieri
- “Il cane guida e il cieco: una storia antica” – Eye Doctor
- “13 dicembre festa di Santa Lucia, la protettrice degli occhi” – Eye Doctor
- Enciclopedia Treccani (voce “GONNELLI, Giovanni, detto il Cieco di Gambassi”)
- Wikipedia: “Aurelio Nicolodi”
- Presentazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti (UICI)
- «Io, primo cieco al governo: la parola invalido via dalle leggi» – Il Giornale
- Costituzione Italiana, art. 38
- Legge n. 517/1977 (integrazione scolastica, abolizione classi differenziali)
- Legge n. 113/1985 (centralinisti non vedenti)
- Legge n. 104/1992 (legge quadro per l’assistenza e i diritti delle persone con disabilità)
- Legge n. 4/2004 (Legge Stanca sull’accessibilità web e informatica)